[2] Piaget J.,
1952, The child’s conception of number, p.8, London, Routledge & Kegan Paul.,citato in Butterworth B., 2007, Lo sviluppo delle capacità
aritmetich., in Difficoltà in
matematica n. 4/1 ott.2007, p.12, Trento, Erikson
02. Da Piaget a oggi
Chi non conosce Jean Piaget? Lo psicologo svizzero
può essere considerato il più importante studioso
dello sviluppo dell'intelligenza, colui che ha maggiormente
contribuito a modificare l'immagine del fanciullo e dell'educazione nel XX
secolo. Ancor oggi la sua influenza è presente nella didattica della matematica
e strumenti come l’abaco e i regoli derivano dalle sue importanti scoperte nel
campo della pedagogia. Piaget dimostra che la differenza tra il
pensiero del bambino e quello dell'adulto è di tipo qualitativo: il bambino non
è un adulto in miniatura ma un individuo dotato di struttura propria. Nel 1941 formula
le prime fondamentali teorie cognitive riguardo l’elaborazione del concetto di
numero: “La nostra ipotesi è che la
costruzione del numero vada di pari passo con lo sviluppo della logica, e che
il periodo prenumerico corrisponda a un livello prelogico. Infatti, i nostri
risultati mostrano che il numero viene organizzato, stadio dopo stadio, in
stretta connessione con la graduale elaborazione di sistemi di inclusione
(gerarchia delle classi logiche) e di sistemi di relazioni asimmetriche
(seriazioni qualitative), per cui la sequenza di numeri nasce da una sintesi
operatoria di classificazione e seriazione.”[1]Quindi, senza logica non è possibile avere accesso al concetto di numero ed è
necessario che l’intelligenza del bambino compia il passaggio dal livello del
pensiero pre-operatorio (caratteristico del periodo dei 4 e 5 anni), al livello
del pensiero operatorio concreto, che invece si svilupperebbe nella fase scolare. In particolare, il bambino deve avere chiari i
concetti di serie e di classe: “ La costruzione dei
numeri interi, si effettua nel
bambino in stretta connessione con quella delle seriazioni e delle inclusioni
in classi. Non bisogna credere, infatti, che un bambino piccolo possegga il
numero per il solo fatto di aver appreso a contare verbalmente”.[2] Piaget fa notare come la capacità di produrre la
sequenza
verbale dei numeri nel bambino non sia indice del saper contare utilizzando
il concetto di numero visto che solo grazie allo sviluppo della logica il
bambino può comprendere la matematica quindi questa può essere insegnata solo a
partire dai 6-7 anni di età. Insegnare prima la matematica sarebbe inutile e
dannoso perché verrebbe imparata a memoria, senza comprenderne il significato,
inculcare con forza questi concetti nella mente del bambino provocherebbe ansia
e paura nei riguardi della matematica. Invece di insegnare precocemente i
numeri, meglio cominciare dalla logica e dai rudimenti della teoria degli
insiemi, la cui padronanza è necessaria per capire il concetto di numero. Importante
è anche l’interazione con il mondo esterno: il concetto di numerosità può
emergere infatti attraverso la manipolazione di oggetti, come ad esempio,
allineare insiemi per stabilire la corrispondenza biunivoca tra i componenti di
due insiemi o per distribuire caramelle o giocattoli. Piaget è stato l’autore
della più importante teoria sullo sviluppo mentale del bambino, con i
suoi studi ha sconvolto il campo della
psicologia dello sviluppo riconoscendo per la prima volta il ruolo centrale
svolto dalla cognizione, però, a partire dagli anni ’80, numerosi ricercatori
hanno dimostrato che in realtà bambini piccoli (addirittura in fase neonatale) reagiscono
alle proprietà numeriche del loro mondo visivo senza potersi avvalere del
linguaggio, del ragionamento astratto o di particolari opportunità di
manipolare il loro ambiente. Oggi sappiamo che l’intelligenza numerica (capacità
di concepire e pensare al mondo in termini di numeri e quantità numeriche) è
un’abilità presente nell’essere umano fin dalla nascita e influenza il nostro
modo di interpretare gli stimoli della realtà che ci circonda. Addirittura, numerose
ricerche sperimentali hanno dimostrato che anche gli animali sono in grado di
discriminare tra differenti serie di elementi in base alla loro numerosità: è
ormai noto che ratti e piccioni sono in grado di riconoscere un numero dato di
oggetti, anche quando viene modificata la loro posizione nello spazio e che uno
scimpanzé sceglie spontaneamente la più grande fra due quantità. È ragionevole
pensare che i cuccioli della specie umana fino a sei o sette anni abbiano un’intelligenza
numerica inferiore a quella di scimmie e piccioni? D'altronde Concepire il mondo in termini di numerosità è un vantaggio da
un punto di vista evolutivo sia per l’uomo che per gli animali: scegliere tra
un luogo con molto cibo e uno con poco cibo o riconoscere luoghi con pochi o
molti predatori sono state sicuramente abilità fondamentali per la
sopravvivenza e l’evoluzione di uomini e animali.
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